Expo Paola Macchi Silvana Carcano

Viaggio nel vuoto siderale di Expo

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Ieri, 4 maggio, abbiamo visitato i padiglioni di Expo per analizzare se, come e quanto i temi dell’alimentazione sono approfonditi dall’esposizione universale.

Attraversati i tornelli, ad accogliere i visitatori c’è Padiglione Zero, con momenti interessanti e intelligenti che trattano il tema della nutrizione del pianeta.

Proseguendo il percorso lungo il decumano la prima impressione è quella di trovarsi in un enorme parco giochi: musica e sfilate stile Banda del paese, uomini sandwich, frutta che cammina, ballerini addobbati da cibi vari e confezioni giganti di nutella, insomma una “Disneyland de’ noantri”.

Il timore è che  Padiglione Zero sia il top dell’Expo, con un progressivo decrescendo di qualità e contenuti fino alla deludente esperienza di Palazzo Italia.

I diversi padiglioni che abbiamo visitato sono la rappresentazione del vuoto di contenuti che Expo, colmo di luci, giochi d’acqua, gigantografie, stoffe, schermi, maxischermi e natura finta, tenta inutilmente di mascherare.

Non è sufficiente, infatti, un percorso microscopico nella biodiversità e una collina mediterranea per giustificare quella che pare una collezione di grandi marchi che si pubblicizzano, protagonisti di un mondo che speriamo sia solo nella testa di chi ha perso l’occasione di progettare un’esposizione universale realmente di spessore.

Certo, l’esperienza di sollecitazione sensoriale è garantita: grandi specchi, zampilli d’acqua, vestiti tradizionali e forme insolite che pero’ possono affascinare al massimo i bambini ; l’impressione è stata quella di una gigantesca fiera di paese raffazzonata o, peggio, del più grande ristorante mondiale a cielo aperto.

Padiglione dopo padiglione è impossibile non notare lo spreco orgiastico di materiali nei padiglioni di dimensioni epocali  e non trovare estenuante il diluvio di luci; ma è inevitabile chiedersi quanto rimarrà al visitatore da un punto di vista educativo e culturale dopo una visita a questo enorme Luna Park che ti frastorna con video di paesaggi incontaminati lontani migliaia di chilometri dal cemento di Rho-Pero e dalle proposte alimentari Mac Donald’s che di naturale non hanno nulla. Certo, non esistono in Expo presidi alimentari per saziare quella parte di mondo che ha fame e che chiede di parlare degli ultimi degli ultimi, in maniera sobria, dignitosa, con umiltà. Non si respira il senso e l’obiettivo di Expo, Nutrire il pianeta, non si respira serietà e determinazione nello sconfiggere la terribile piaga della fame mondiale e di quella in aumento ad essa contrapposta, l’obesità. Tutt’altro, si respira aria di spreco ed eccesso, consumismo e sfarzo, tranne rare eccezioni, schiacciate però dalla presenza dominante di ciò che ha condotto il mondo al dramma di milioni di persone affamate inducendo altri milioni a sovralimentarsi. I Cluster dedicati al riso, frutta e legumi, cacao e cioccolato, cereali e tuberi, spezie e caffè appaiono come piccole agenzie di viaggio per incentivare i visitatori a diventare turisti di quei Paesi impossibilitati ad avere un loro padiglione ma poco coinvolgenti ed educativi, nella maggior parte dei casi dotati di negozietti tipo fiera dell’artigianato o bancarelle che propongono assaggi vari a prezzi carissimi.

La nostra meta finale, come dicevamo, è stata Palazzo Italia, un’opera architettonica di grande costo con i suoi iniziali 40 milioni di euro, diventati poi più di 90, che, da lontano, ricorda quei pacchi regalo che ci donavano da bambine che, dietro la carta lucida, nascondevano promesse e sorprese. Quanta delusione nello scartare il padiglione percorrendo sale sostanzialmente vuote, buie, fredde, con musiche house-tecno: un padiglione che non rappresenta minimamente il calore e la cultura italiana, pregna di bellezza, colori, arte e sapienza culinaria.

Nemmeno l’Albero della vita riesce riempire il vuoto universale esposto a Expo.

“Vita” e “albero” sono in aperta contraddizione con ciò che abbiamo di fronte: un monolite artificiale enorme e senza linfa, senza foglie verdi e senza rami, ma con solide radici di cemento, fusto di acciaio e rami di legno morto immerso in un bacino d’acqua artificiale e la cui “vita” si esprime in luci e giochi d’acqua che con la vita hanno davvero poco a che fare, l’ultima delle offese di un’Expo che non nutre, se non poco, male e a costi insostenibili per il nostro paese , il nostro povero Pianeta.

In conclusione, per approfondire il senso delle parole chiave di Expo, alimentazione, energia, pianeta, vita, è fondamentale evitare gli opposti estremismi: lo sfruttamento del nostro pianeta con una logica predatoria ad esclusivo vantaggio dell’attuale generazione, contro la “sacralizzazione” altrettanto eccessiva e anacronistica della natura, intoccabile. È impossibile trovare il giusto equilibrio tra queste due opposte posizioni con chi non è intenzionato a creare un ‘autentica armonia fra uomo e pianeta, con chi non è interessato alla cura di tutti, a lavorare in modo da dare a tutta la popolazione mondiale una sana e adeguata nutrizione,  “In verità nutre la vita solo ciò che rallegra”, e rallegra ciò che è bello. Questo Expo e’ bello? A noi proprio non piace.

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