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Là dove c’era l’erba ora c’è una città… e dopo Expo?

arexpo

Cari cittadini italiani (lombardi in particolar modo),

a circa 150 giorni dall’inizio dell’esposizione universale continuiamo a parlare di Expo 2015 e soprattutto del dopo Expo. Da quando siamo in Regione Lombardia Expo è stato un impegno assiduo e un fiato sul collo costante. Quando in Italia si parla di grandi eventi e di opere pubbliche, infatti, si sprofonda in un pozzo senza fondo fatto di malaffare, conflitti di interesse, prevaricazione dell’interesse personale su quello collettivo, corruzione e infiltrazioni mafiose. Abbiamo raccolto informazioni, fatto innumerevoli accessi agli atti, audizioni, studiato progetti, fatto sopralluoghi sui cantieri e segnalato anomalie alla Procura e al Presidente dell’Autorità Nazionale anti Corruzione, Raffaele Cantone.

L’Expo 2015 è stato presentato agli italiani, con abile strategia di marketing, come un’occasione imperdibile per rilanciare l’immagine, la credibilità e l’economia dell’Italia, adornando il tutto con il nobile tema “Nutrire il pianeta. Energia per la vita.”

Continua, inoltre, ad essere alimentata l’errata convinzione che l’Expo sia un evento governativo, come se ogni cinque anni un comitato internazionale coordinato dai governi di tutto il mondo premiasse il Paese più meritevole consentendogli di ospitare questa manifestazione universale.

Questo il primo mito da sfatare: l’Expo nasce da un comitato privato ed è quindi un evento privato che si muove in un contesto di interessi privati i quali, grazie a fondi pubblici, genera guadagni privati.

E il motivo per cui ancora oggi questo evento risulta incredibilmente appetibile, nonostante le nuove tecnologie non richiedano più esposizioni di questo tipo per promuovere i prodotti nel mondo (ben diversa era la situazione nel 1851 anno della prima esposizione universale), è la possibilità irripetibile di sfruttare l’occasione per concretizzare modifiche al Piano di governo del territorio altrimenti impossibili da inserire nella ordinaria amministrazione (oltre alla movimentazione di ingenti capitali). A questo si aggiunge poi l’urgenza dovuta ai ritardi biblici (i primi tre anni sono stati persi a trattare l’acquisto dei terreni e a definire le poltrone più prestigiose e i loro compensi) che hanno obbligato a stringere i tempi e ad andare in deroga, aprendo le porte a politici corrotti, imprenditori edili, istituti bancari e naturalmente alle associazioni mafiose.

Ecco quindi che si alza il sipario e inizia lo spettacolo. Tutti cominciano ad abbuffarsi alla ricca tavola dei fondi pubblici.

Nel caso dell’Expo milanese, però, si è andati oltre: non si tratta più soltanto, si fa per dire, di corruzione e malaffare tra politici, amministratori, dirigenti, costruttori, mafiosi. A Milano bisogna fare i conti con menti più sofisticate che potrebbero aver ideato da anni un progetto molto più articolato di quel che può sembrare, e che, pur nella sua complessità, proviamo a spiegare.

Tutti ci aspettavamo che l’Expo avrebbe catalizzato interessi privati, più o meno leciti, e questo ha fatto sì che focalizzassimo l’attenzione sulle aree destinate all’evento, occupandoci, prima, di accordi di programma, progetti di sviluppo, contratti di acquisto e, successivamente, di appalti, bonifiche, bandi e cantieri. Intendiamoci, tutto questo non ci ha certo lasciati delusi. A parte i singoli soggetti indagati e finiti in carcere, gli appalti discrezionali, le cupole e i soliti “avvoltoi”, le inutili infrastrutture diventate prioritarie per Expo, le questioni su cui non si è data sufficiente visibilità riguardano altro.

Partiamo dal fatto che tradizionalmente i terreni su cui si è realizzato l’evento dell’Expo erano di proprietà pubblica, non privata, evitando investimenti inutili; dopo l’esposizione, l’area, che nel frattempo si era arricchita di tutte le infrastrutture necessarie, rimaneva di proprietà pubblica e non si rendeva necessaria la vendita per rientrare dell’investimento. Ebbene, a Milano, per distinguersi dalla storia delle esposizioni universali passate, i terreni scelti sono di proprietà privata per cui si è deciso di prendere soldi pubblici e metterli nelle mani di soggetti privati. Poiché i terreni avevano una destinazione agricola, quindi commercialmente poco remunerativa, per arricchire le tasche dei proprietari si è proceduto alla loro urbanizzazione trasformandoli improvvisamente in terreni edificabili, attribuendo loro un indice edificatorio piuttosto alto (i proprietari l’avrebbero voluto ancora più alto!).

Visto che il tema dell’evento è “Nutrire il pianeta” si è pensato bene di scegliere un’area su cui, fino al 1992, sorgeva la raffineria Agip che lavorava 5 milioni di tonnellate di idrocarburi l’anno, oltre a svariate altre industrie e ad una sottostazione elettrica. Questo ha determinato l’enorme problema delle bonifiche che ancora oggi, a pochi mesi dall’inizio dell’Expo, non sono terminate, e che, per quelle già effettuate, esistono seri dubbi sulla loro efficacia, documentati da atti ufficiali. Incrociando diversi documenti, inoltre, emerge che esiste un accordo tra Expo e i precedenti proprietari per un tetto massimo di soli 6 milioni di euro per l’attuazione delle bonifiche. Tetto largamente sforato da Expo prima ancora della determinazione del prezzo di vendita di quei terreni, che, quindi, avrebbe dovuto includere il costo delle bonifiche. Milioni di euro di spese per bonifiche che, a questo punto, ricadranno sui cittadini, grazie a chi ha voluto tutelare gli ex proprietari ponendo un tetto massimo bassissimo alla loro responsabilità pecuniaria.

Verificando chi sono i proprietari delle aree acquistate per l’Expo (per le quali si sono sborsati decine di milioni di euro), ci si imbatte in due nomi: la famiglia Cabassi, che come noto è spesso protagonista assoluta nelle costruzioni in Lombardia e non solo, e Fondazione Fiera Milano che, udite udite, in tutto l’affare Expo ricopre tre ruoli contemporaneamente: è membro dell’ente promotore di Expo, quindi tra coloro che hanno deciso dove si sarebbe fatto, è proprietario della maggior parte dei terreni scelti, ed è socio della società Arexpo spa (di cui fanno parte anche Regione Lombardia, Comune di Milano, di Rho e provincia di Milano) che ha acquistato i terreni. A rischio di essere accusati di complottismo, noi ci vediamo un certo conflitto di interesse, soprattutto se si considera che nel 2008, quando si firmò l’accordo per la vendita dell’area, Fondazione Fiera, sotto la gestione di Comunione e Liberazione, aveva un buco di bilancio considerevole a causa del fallimento della nuova fiera di Rho i cui padiglioni sono ancora oggi quasi sempre vuoti. Fondazione Fiera decide di vendere ad Arexpo una quota dei terreni per ripianare i suoi debiti di bilancio e di convertire la restante parte in quote sociali per entrare in Arexpo Spa: un vero affare visto che i terreni, pagati inizialmente circa 10 euro al metro quadro, sono miracolosamente stati riqualificati a 164 euro al metro quadro.

Un altro passaggio curioso è quando Arexpo spa acquista i terreni, poiché è costretta a chiedere un finanziamento (sottolineiamo che la società in questione è a partecipazione prevalentemente pubblica, quindi il prestito ricade inevitabilmente su tutti i cittadini). Quando viene indetto il bando per il finanziamento, tutti gli istituti bancari si tengono a debita distanza e non partecipano, tranne uno: Banca Intesa San Paolo, capofila di un gruppo di istituti di credito. Se si ha la pazienza di leggere le centinaia di pagine del contratto di finanziamento sottoscritto tra le parti si è colti da stupore e incredulità per svariati motivi, ma soprattutto per il tasso di interesse applicato che è più alto di quello che qualunque istituto bancario potrebbe applicare ad un ventenne precario. Leggendo oltre, poi, si giunge a clausole davvero curiose, come quella in cui si precisa che qualora il tasso di interesse configuri una violazione di quanto disposto per legge sul tasso di usura, verrà applicato il limite massimo consentito dalla legge. In altri termini, non solo si sta ipotizzando la concreta possibilità che possano verificarsi le condizioni per cui il tasso di interesse diventi usuraio, ma ci si sta preventivamente accordando che in tale circostanza non ci si avvarrà del diritto di recesso dal contratto (cosa che qualunque cittadino normale può fare) e si pagherà il massimo applicabile. Chiunque avrebbe rifiutato un accordo del genere, Arexpo invece lo firma. Tant’è, i soldi sono i nostri e basterà aumentare qualche tassa per rispettare i termini accordati.

Si potrebbe elencare all’infinito le incongruenze, le contraddizioni, i conflitti d’interesse, gli accordi sospetti, le ipotesi di favoritismi che avvolgono come una fitta nebbia l’evento di Expo 2015. Servirebbero troppe pagine, un altro esempio su tutti è la figura della Presidente Bracco, in pieno conflitto di interessi.

Tuttavia è proprio a questo punto che cominciamo ad avvertire quella fastidiosa sensazione di non aver considerato proprio tutto. Si, perché è come se impantanati in tutti questi problemi ci sfuggisse il quadro complessivo. Insomma hanno mangiato davvero in tanti e l’abbuffata è stata oltre le più tragiche aspettative. Eppure basta allargare lo sguardo e spingerlo un po’ in avanti nel tempo perché si aprano nuove prospettive e inquietanti scenari. La conferma a queste nostre preoccupazioni ci giunge quando un mese fa l’asta per la vendita dei terreni di Expo è andata deserta. Arexpo spa, indebitata con Intesa prima dell’inizio dell’evento fieristico, ha messo in vendita tutti i terreni di Expo in un unico lotto del valore di 315 milioni di euro. Il vincolo per l’acquirente sarebbe stato quello di rispettare il master plan, cioè un piano di sviluppo dell’area che suddivideva il lotto in percentuali diverse per l’edificazione e le aree verdi secondo un progetto complessivo che dovrebbe garantire e tutelare la comunità dal pericolo di speculazioni edilizie. Abbiamo letto e analizzato le perizie di stima, il progetto di sviluppo, il testo del bando d’asta e molto altro ancora mettendo in evidenza tutte le carenze e le incongruenze che ancora caratterizzano questa fase e abbiamo chiesto chiarimenti ai responsabili e dirigenti di Arexpo. Abbiamo ipotizzato che un lotto di tale valore potesse favorire i soliti pochi che possono permettersi investimenti di questa misura, abbiamo contestato il prezzo di vendita perché non avrebbe comunque coperto tutte le uscite e le bonifiche ancora da effettuare e così via. Eppure la vera notizia è che l’asta è andata deserta. E adesso? Proprio partendo da questa domanda abbiamo iniziato a considerare la possibilità che il dopo Expo possa svelare il vero terreno di gioco di questa partita.

Se ampliamo il raggio di osservazione e ci spingiamo oltre i confini fisici dell’area Expo, scopriamo che proprio adiacente a quest’area c’è un’ altra enorme area oggetto di interventi edificatori denominata “Cascina Merlata”. Il piano di lottizzazione di questo terreno (540 mila mq) è stato approvato in fretta e furia dalla giunta Moratti poco prima delle elezioni che hanno visto vincente Pisapia. Quindi la stessa giunta che aveva individuato l’area dove si sarebbe svolto l’Expo ha anche sostenuto e approvato celermente un piano di lottizzazione adiacente che prevede nello specifico: circa 700 alloggi, parcheggi per 50.000 mq, hotel, uffici, un centro commerciale di oltre 45.000 mq con 135 punti vendita e un ipermercato di 5 mila mq e molto altro. Il fulcro di questo progetto è il cosiddetto Villaggio Expo che da maggio 2015 ospiterà 1.334 delegati dei Paesi che parteciperanno alla manifestazione: sette torri per 397 alloggi e, dopo l’evento, altre quattro torri con ulteriori 293 appartamenti. I numeri sono decisamente preoccupanti, ma che non hanno ricevuto la giusta attenzione poiché, immediatamente dopo l’approvazione di questo piano di lottizzazione, si è iniziato a parlare di Expo e tutta l’attenzione si è focalizzata sull’evento del 2015, offuscando l’attenzione su Cascina Merlata. E così, mentre tutti ci preoccupavamo di verificare che l’accordo di programma per l’area Expo mantenesse sia in sede di progettazione che di realizzazione il vincolo di tutelare il 56% dei terreni destinandoli ad aree verdi per evitare la speculazione edilizia, proprio lì di fianco, in un’area simile per dimensione, si proclamava e si celebrava la vittoria del CEMENTO TOTALE.

Ma come mai un progetto di tale portata è stato pensato proprio in questa zona? L’area in oggetto costituiva, insieme a quella destinata ad Expo, una delle poche, se non l’unica, zona verde di queste dimensioni rimasta a nord di Milano. È una zona incastrata tra l’autostrada A8 Milano Varese, l’A4 Torino Venezia e la statale del Sempione che già allora, prima quindi dei progetti Expo e Cascina Merlata, soffrivano una congestione di traffico ben nota ai cittadini di Milano e provincia. In un periodo di piena crisi immobiliare, scegliere un’area non sufficientemente infrastrutturata per un progetto così imponente appariva poco intelligente per qualsiasi investitore immobiliare lungimirante perché avrebbe significato prevedere anche un investimento nelle infrastrutture e nei servizi talmente ingente da rendere il progetto stesso finanziariamente non sostenibile. A meno che queste infrastrutture e questi servizi non li avessero pagati i cittadini. E a meno che non si sapesse già allora dell’arrivo di Expo. Da sempre, infatti, le esposizioni universali sono state il motore per un rafforzamento delle reti di trasporto per l’accesso ai siti espositivi, opere “necessarie” destinate a migliorare e incrementare le connessioni tra il sito espositivo e vari punti della città e della regione. Un’occasione irripetibile.

Per capire bene la situazione è necessario porsi un’altra domanda: chi è il proprietario di Cascina Merlata? La società immobiliare che possiede tutta l’area è la Euromilano di cui Banca Intesa è socio di maggioranza. E’, dunque, plausibile ipotizzare che la disponibilità di Intesa nel finanziare l’acquisto dei terreni per Expo 2015 sia direttamente proporzionale alla necessità di incremento dei servizi per l’adiacente area di Cascina Merlata. Quale migliore occasione per ottenere le infrastrutture a costo zero, cioè interamente finanziate con soldi pubblici? Viene quasi da pensare che fosse tutto già previsto da tempo, da molto tempo. Gli anni del progetto Cascina Merlata sono gli stessi di Expo, anzi i due progetti si intersecano visto che grazie al Villaggio Expo una parte considerevole dei guadagni provenienti dagli alloggi durante i 6 mesi dell’esposizione andranno proprio a finire nelle tasche di Euromilano e quindi anche di Banca Intesa. Un’altra coincidenza davvero curiosa è che proprio in quegli stessi anni, durante il governo Monti, il Ministro dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture e Trasporti (novembre 2011- aprile 2013) era Corrado Passera, ex amministratore delegato di Banca Intesa, e che proprio lui intervenne su Expo 2015 sostenendo fortemente la sua realizzazione.

Ora, quando un normale cittadino acquista casa accendendo un mutuo, sappiamo che non può definirsi proprietario fino all’estinzione del prestito. Ecco allora che anche la società Arexpo non è proprietaria dei terreni che di fatto, in virtù del finanziamento erogato, appartengono a Intesa San Paolo. E il fatto che il bando per la vendita sia andato deserto conferma questo stato di fatto, anzi, se possibile, lo peggiora visto l’impegno preso da Arexpo “in caso di mancata individuazione da parte della Società Finanziata del soggetto attuatore entro il 31 dicembre 2014” a costituire in pegno un pacchetto pari ad almeno il 95% del suo capitale sociale a Intesa San Paolo, che nel frattempo sta incassando fior fior d’interessi. Visto sotto questo profilo, che qualcuno direbbe pessimistico, Intesa è al momento proprietaria di un’area, tra Cascina Merlata ed Expo, di più di 1 milione e 500 mila metri quadri.

L’ultima notizia è di pochi giorni fa, precisamente del 28 novembre 2014: Arexpo annuncia la nascita di un Comitato dei 5 saggi a cui è affidato l’arduo compito di studiare un nuova strategia per il futuro di Expo. Quando si arriva ad aver bisogno dei saggi… vuol dire che siamo in mezzo alla tempesta e allora non resta che farsi il segno della croce. Al di là di ogni facile ironia e in attesa che i “saggi” formulino il loro responso, nel frattempo noi preferiamo ragionare su visioni concrete e possibili.

Di fronte ad un quadro complessivo del genere, se spingiamo lo sguardo oltre il limite temporale dell’Expo, ci si prospettano almeno tre ipotesi di sviluppo ed è su queste che vogliamo invitare tutti a riflettere.

a) Dopo il primo tentativo, anche le aste successive andranno deserte e questo comporterà una cessione dell’area Expo a Banca Intesa che in tal modo ha straguadagnato perché ha ottenuto tre obiettivi:

1) ha incassato una valanga di interessi sul prestito, pagati con denaro pubblico,

2) ha ottenuto le infrastrutture a costo zero per l’area di Cascina Merlata, pagate con denaro pubblico,

3) è diventata proprietaria dell’area Expo con tutti i benefici derivanti dalle opere già realizzate, pagate con denaro pubblico.

b) Arexpo con il beneplacito di Banca Intesa (il vero proprietario) decide di suddividere l’area di Expo in lotti più piccoli, magari riducendo la percentuale destinata a verde a vantaggio dei metri edificabili decisamente più appetibili per potenziali compratori; questo scenario determinerà inevitabilmente la perdita di controllo sullo sviluppo globale dell’area con conseguente frazionamento e sfasamento degli interventi che si tradurranno, come al solito, in speculazione edilizia e degrado delle zone meno appetibili. La banca brinderà agli interessi che a questo punto entreranno fino a operazione conclusa.

c) Fallito ogni tentativo di vendita, Arexpo deve modificare il suo scopo sociale e da società per acquisto e vendita diventa lo sviluppatore del progetto dopo Expo. Ovviamente questo necessiterà di un nuovo accordo con Banca Intesa che, dopo aver rosicchiato anche l’osso, sarà ben felice di abbuffarsi alla nuova tavola imbandita con soldi pubblici concedendo probabilmente un nuovo finanziamento a tassi naturalmente “sotto la soglia d’usura”. Anche in questo caso non si ha alcuna garanzia sul risultato finale che molto probabilmente, come spesso accade in Italia, sarà peggiore di ogni aspettativa con zone verdi lasciate al degrado e migliaia di metri cubi edificati senza scopo. Solo una cosa è certa: gli italiani ad oggi hanno speso qualche miliardo di euro per favorire banche e privati che si ritrovano proprietari di una piccola città in costruzione. Prevedere quando tutti noi rientreremo dell’investimento è facile: mai!

Resta da dire un’ultima una cosa: noi del Movimento 5 Stelle saremmo ben lieti di essere smentiti e di apprendere che le cose verranno fatte per bene e nell’unico interesse della collettività, ma dopo aver assistito a tanti arresti, a 65 interdittive per mafia con 44 imprese allontanate dai cantieri, alle centinaia di milioni di euro andati in fumo, e dopo le recenti indagini sul Mose e su Mafia Capitale, beh consentiteci di manifestare qualche dubbio senza paura di essere accusati di catastrofismo. Tutto questo però non ci demoralizza e non ci fermerà perché crediamo che prima o poi l’onestà andrà di moda anche in Italia.

Caro Presidente Renzi, visto che l’abbuffata Expo è quasi in dirittura di arrivo, hai pensato bene di candidare Roma per le Olimpiadi 2024. Nemmeno Monti se l’era sentita di fare una carognata di queste dimensioni, ma tu sei il nuovo che avanza….

I Portavoce regionali del M5S Lombardia

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