Pubblichiamo l’intervento integrale del portavoce Eugenio Casalino in Consiglio regionale sul tema del “riordino delle autonomie” un tema di rilevanza nazionale sul quale l’assise regionale non ha competenze.
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Questo nostro esercizio di dibattito sulle riforme istituzionali rischia di essere inutile, tanto sono decise nelle segreterie nazionali dei partiti, e rischia di distrarci dalla nostra attività p rimaria in questo Consiglio Regionale. Visto che evidentemente il calendario dei lavori del consiglio per le prossime sedute è scarno di provvedimenti da discutere per l’inerzia della maggioranza qui in Regione, in attesa del rimpasto di Giunta o di eventi nazionali, come le elezioni amministrative ed europee, suggeriamo di mettere all’ordine del giorno delle commissioni e di questo consiglio i numerosi Progetti di Legge presentati dalle opposizioni. In tema di assetto istituzionale della Regione per esempio segnalo che dobbiamo ancora istituire la Commissione Garante dello Statuto, c’è una bozza di PdL su cui non abbiamo trovato un accordo in Ufficio di Presidenza e sul quale potremmo lavorare in commissione.
Sulle riforme istituzionali abbiamo avuto nell’ordine: i 10 saggi di Napolitano, i 30 saggi di Letta e Quagliariello, i 40 del comitato bicamerale in barba all’art 138, sul quale c’è stato un tentativo di violenza sulla Costituzione, che il M5S con una dura lotta in Parlamento e nelle piazze ha per fortuna scongiurato. Quindi nell’ambito di una iper produttività consultiva sul tema ci mancavano pure in effetti i consigli regionali su questo tema.
Visto che le riforme appaiono al momento decise da due condannati fuori dal Parlamento, Renzi e Berlusconi, e visto che se si è condannati in questa Repubblica, giustamente, non ci si può neanche candidare ad un concorso pubblico per bidelli, proponiamo che la prima vera riforma istituzionale da portare avanti sia quella di evitare appunto che dei condannati decidano per noi su un tema così delicato ed importante come le riforme istituzionali.
In generale il M5S non ha preso finora una posizione sulle riforme istituzionali a livello nazionale avendo ragionato che esse non possono essere frutto di un Parlamento eletto con un premio di maggioranza incostituzionale e quindi con una rappresentanza distorta del Paese. Ricordo che anche questo consiglio regionale è stato eletto con un notevole premio di maggioranza, oggetto di un ricorso alla Corte Costituzionale che dovrebbe dare i suoi esiti il prossimo mese.
La strada maestra per le riforme istituzionali dovrebbe essere come 68 anni fa una assemblea costituente eletta con metodo proporzionale puro.
Noi pensiamo che non si possono fare le riforme istituzionali nelle stanze segrete da poche persone o con sparuti gruppi di parlamentari che decidono su un tema così delicato per tutti i cittadini. Anche per queste scelte il M5S farà un percorso consapevole e partecipato dai cittadini di dibattito e di voto sul “sistema operativo” online del M5S come sta avvenendo in questi giorni per la nuova legge elettorale.
Di conseguenza noi in questa sede non avanzeremo alcuna proposta e non voteremo alcun documento in merito.
Abbiamo perplessità sull’opportunità che le Regioni si mettano a discutere sulle riforme istituzionali in senso lato ma per quanto riguarda il riordino delle autonomie locali può essere ancora ancora comprensibile che questo consiglio voglia dire la propria sul DDL Del Rio oggi bloccato al Senato da 3.000 emendamenti, soprattutto in ordine alla richiesta di dare un potere alle Regioni sul tema.
La soluzione più lineare, semplice, funzionale e veloce per il riordino delle autonomie locali? Sarebbe stata quella di sopprimere le province per via costituzionale, affidando competenze e funzioni amministrative alle amministrazioni centrali, alle Regioni e ai Comuni, da definire in Conferenza unificata secondo i vigenti principi costituzionali di sussidiarietà e adeguatezza (come previsto dal ddl costituzionale del M5S). Al contempo, con legge ordinaria, provvedendo all’accorpamento dei Comuni più piccoli, attraverso le unioni e le fusioni, e, soprattutto, disboscando e tagliando la giungla di enti e società che sono proliferati a livello territoriale (strumentali, “inutili”, intermedi), che sono migliaia e producono annualmente secondo la Corte dei Conti perdite ingenti. Semplificazione e risparmi sulla spesa pubblica assicurati immediatamente.
Invece, con questo provvedimento, forse alla fine del 2014 entrerà a regime questo finto riordino, una sovrapposizione di competenze indefinite, foriero di aggravi di spesa, per giunta ufficialmente definito “provvisorio” nelle more dell’approvazione della riforma costituzionale che prevede l’abolizione delle province.
Il M5S ha anche ufficialmente chiesto che il disegno di legge costituzionale di abolizione delle province sia estrapolato dalle competenze del Comitato parlamentare che dovrà procedere alla riforma della Costituzione e sia esaminato da solo, subito.
Abbiamo anche chiesto la sospensione dell’esame di questo provvedimento “provvisorio”, fino all’approvazione delle proposte di legge costituzionali che aboliscono le province. Evidentemente, nonostante le buone parole e i lodevoli intenti, nessuno vuole veramente abolire le province.
La Corte dei Conti ha evidenziato la probabilità che la prospettata coesistenza di Città metropolitane e Province comporti aggravi di spesa, confusione ordinamentale e moltiplicazione di oneri. Il meccanismo di riordino contenuto nel disegno di legge del Governo risulterebbe molto complesso e articolato, suscettibile di alimentare il contenzioso, in particolare nella ripartizione di funzioni tra Provincia e Città metropolitana. Le procedure indicate mal si concilierebbero, per la durata e la complessità, con la provvisorietà del disegno organizzativo perseguito dal provvedimento.
In particolare, la Corte ha evidenziato che si dovrebbe porre la ricerca del modello più efficiente per allocare le funzioni nel territorio, che dovrebbe tendere ad evitare duplicazioni di funzioni e dovrebbe estendersi anche all’attività degli organismi partecipati ai quali sovente è affidata la gestione dei servizi pubblici e delle funzioni strumentali. Si tratta di migliaia di enti che, in molti casi, sono fonte di perdite per gli enti istituzionali. Nell’ottica della semplificazione del sistema degli organismi partecipati, che si manifesta, in molti casi, in un obbligo di dismissione, potrebbe essere valutata la possibilità di rendere gratuite le cariche dei componenti gli organi sociali nei predetti organismi. Non è fanatismo pentastellato, come potrebbe sembrare ai nostri detrattori, è l’avviso della Corte dei Conti.
In estrema sintesi, le principali ragioni di perplessità in ordine al DDL Del Rio attengono a rilievi di illegittimità costituzionale e di opportunità politica.
Quanto ai primi, si segnalano:
1) la trasformazione delle Città metropolitane e delle Province da enti territoriali di primo livello ad enti territoriali di secondo livello (i cui organi di governo sono eletti indirettamente);
2) l’attribuzione alle Città metropolitane di tutti i rapporti attivi e passivi e di tutte le funzioni delle Province, che ne restano prive, salvo che una certa quota dei Comuni della Città metropolitana non se ne dissoci secondo una determinata procedura; nel qual caso, “La provincia omonima resta in funzione per il territorio corrispondente a quello di pertinenza dei comuni che hanno optato per l’appartenenza all’ente provincia”;
3) la limitazione della partecipazione dei piccoli Comuni e delle minoranze politiche alla rappresentatività nelle Città metropolitane.
Le disposizioni del ddl sulla trasformazione degli organi di governo delle Città metropolitane e delle Province da direttamente elettivi a indirettamente elettivi sono incompatibili con le disposizioni della Costituzione e del Consiglio d’Europa secondo le quali le Città metropolitane e le Province, al pari degli altri enti territoriali, sono enti autonomi, costitutivi della Repubblica, con propri statuti, poteri e funzioni e con le disposizioni secondo le quali le collettività locali operano sotto la loro responsabilità, a favore delle popolazioni interessate e mediante organi collegiali costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale.
Le disposizioni del ddl sulle modalità di composizione del consiglio delle Città metropolitane, e delle province e che le delibere della conferenza metropolitana, salvo diversa specifica previsione dello statuto, sono adottate “con voto ponderato” sono incompatibili anzitutto con le disposizioni della Costituzione, della Carta europea delle autonomie locali e delle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa secondo le quali la sovranità appartiene al popolo e tutti i soggetti giuridici hanno eguale diritto di partecipare alla democrazia rappresentativa.
Quanto ai rilievi di inopportunità politica, si registra:
1) la volontà politica di conservare le Province;
2) la volontà politica di istituire le Città metropolitane e di attribuire ad esse le stesse funzioni e le stesse strutture delle Province;
3) il mancato trasferimento di funzioni e di strutture delle Province ad Unioni di Comuni obbligatorie nelle circoscrizioni provinciali;
4) la mancata fusione dei piccoli Comuni;
5) la mancata abolizione degli enti inutili.
In particolare il ddl non prevede l’abolizione degli enti inutili, in contraddizione con i principi di legalità, di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione. Il tempo e le energie spesi per questo provvedimento avrebbero potuto essere impiegati, ma in quantità molto minori, per tagliare la spesa pubblica.
Esistono oltre 7.000 enti strumentali (Consorzi, Aziende, Società) che occupano circa 24 mila persone nei Consigli di Amministrazione. Il costo dei compensi, le spese di rappresentanza, il funzionamento dei consigli di amministrazione, organi collegiali, delle Società pubbliche o partecipate è pari a 2,5 miliardi (dati 2011).
La “spending review”, con essa intendendo i due decreti-legge dell’era Monti, pezzo a pezzo la stanno smontando. In particolare, guarda caso sulle società strumentali, vero terreno di caccia dei politici dappertutto in Italia.
Noi sosteniamo la strada principale della modifica costituzionale per l’abolizione delle province ma siamo, al contempo, consapevoli che il “millefoglie territoriale” italiano è solo in parte prodotto dall’esistenza delle province, dovendosi piuttosto alla proliferazione di enti sovra comunali di vario tipo tra i quali occorrerebbe mettere ordine.
L’unico risparmio certo disposto da questo provvedimento – posto che non ci siano intoppi, tutto vada a buon fine e nei tempi indicati, e il Governo regga – è quello inerente alle elezioni delle province, che potrebbero non tenersi nel 2014.
Con un minor dispendio di tempo ed energie, un risparmio molto simile, e molto certo, si sarebbe ottenuto con una sola norma, di poche righe, tentata in diverse occasioni ma sempre mancata: l’abolizione degli enti inutili (circa 400 mln. di euro di risparmi).